Rappresentazione

Rappresentazione(1)

Una rappresentazione è qualcosa che sta per qualcos'altro, reale o immaginario che sia. La parola Rex, ad esempio, sta per il cane Rex. La nozione di rappresentazione usata nelle scienze cognitive mutua alcune caratteristiche fondamentali dai sistemi rappresentazionali della logica simbolica. In primo luogo, una rappresentazione non costituisce una copia esatta di ciò che rappresenta, ma ne riflette solo alcuni aspetti. Ad esempio, se usiamo un segmento per rappresentare l'altezza di Carlo, questa rappresentazione non darà alcuna indicazione sul suo peso oppure sul colore dei suoi capelli. Inoltre una rappresentazione non può essere trattata come un oggetto singolo, ma fa parte di un sistema - il mondo rappresentante - in cui i diversi oggetti hanno fra di loro relazioni che corrispondono ad alcune delle relazioni che esistono fra gli oggetti del mondo rappresentato. Per tornare a Carlo, un segmento rappresenta la sua altezza se la relazione che intercorre fra la lunghezza di questo segmento e quella di altri segmenti del mondo rappresentante corrisponde alla relazione fra l'altezza di Carlo e quella delle altre persone del mondo rappresentato. Un'ulteriore caratteristica delle rappresentazioni è che non c'è corrispondenza biunivoca fra mondo rappresentante e rappresentato: i segmenti possono rappresentare tanto l'altezza quanto il peso delle persone. D'altra parte, la stessa informazione può essere rappresentata in forme diverse: 13 + 24 = 37 e «Tredici più ventiquattro è uguale a trentasette» sono due modi differenti di esprimere la stessa cosa. Infine, le rappresentazioni includono un aspetto operazionale: perché il mondo rappresentante possa svolgere la sua funzione, è necessario specificare le operazioni che si applicano ai suoi oggetti. Ad esempio, senza la specificazione di come si determina se un segmento è più, meno, o altrettanto lungo di un altro, sarebbe impossibile servirsi dei segmenti come rappresentazioni dell'altezza delle persone, giacché non potremmo usarli per stabilire chi è più alto o più basso di chi. La nozione di rappresentazione ha un ruolo preminente nelle scienze cognitive, che studiano le attività dei sistemi intelligenti concepite come elaborazioni di informazioni. Una delle metafore più comunemente usate nella psicologia cognitivista all'epoca della sua fondazione era quella dei programmi di computer: i processi mentali venivano immaginati come programmi di computer che ricevono informazioni, le immagazzinano, le elaborano e le impiegano per eseguire compiti. In una simile concezione, le rappresentazioni costituiscono gli oggetti ai quali si applicano i processi, e c'è una relazione strettissima fra queste due nozioni: le rappresentazioni senza processi sarebbero inerti, mentre i processi senza rappresentazioni sarebbero attività vuote. Dato il loro ruolo, non è sorprendente che le rappresentazioni siano un tema di incessante interesse per le scienze cognitive. La soluzione di qualunque compito un sistema intelligente possa trovarsi a dover risolvere capire una domanda, riconoscere un volto, fare un calcolo, afferrare un oggetto - si basa sulla possibilità del sistema di manipolare le informazioni che riceve dal mondo esterno assieme a quelle già in suo possesso.

Evidentemente, un passo indispensabile nella soluzione di un compito è stabilire quali sono le informazioni di cui ha bisogno il sistema per operare e come devono essere espresse. Si tratta di due questioni distinte. Se, come abbiamo visto, le rappresentazioni non sono copie di ciò che rappresentano, quali informazioni contengono ? Questa questione è stata affrontata dagli scienziati cognitivi soprattutto in relazione a due tipi di rappresentazioni: le rappresentazioni spaziali e i concetti. Le rappresentazioni spaziali usano uno spazio per rappresentare il mondo e sono tipicamente impiegate per orientarsi e muoversi in un ambiente oppure nel ragionamento. Uno spazio è un'entità geometrica che soddisfa certe condizioni e può essere descritto per mezzo di un insieme di dimensioni. La dimensionalità di un'entità dipende dalla prospettiva; una strada, ad esempio, può essere vista come unidimensionale su una carta geografica, ma come bidimensionale mentre si guida. Una rappresentazione spaziale permette di codificare fatti relativi a proprietà e relazioni spaziali, forme, dimensioni e movimento. In generale, il livello di dettaglio che una rappresentazione spaziale deve contenere dipende strettamente dalla sua funzione: se pianifichiamo un viaggio e vogliamo sapere quali stati attraverseremo, è sufficiente avere a disposizione un grafico in cui ciascun nodo rappresenta uno stato, ma per attraversare i vari stati saranno necessarie informazioni molto più precise.

I concetti sono concepiti dagli psicologi cognitivisti come rappresentazioni mentali per mezzo delle quali un sistema intelligente, e in primo luogo la mente umana, immagazzina e organizza le sue conoscenze. Quale informazione, ad esempio, è contenuta nella nostra rappresentazione mentale della categoria cane ? Per dirla con altre parole, quali sono le informazioni che ci permettono di riconoscere tutti gli oggetti che sono cani e distinguerli da membri di altre categorie ? Seguendo la tradizione filosofica, l'approccio classico a questa questione è cercare di definire le condizioni necessarie e sufficienti a far si che qualcosa sia membro di una categoria. Un triangolo, ad esempio, è una figura piana chiusa con tre lati. Queste proprietà sono necessarie e sufficienti a individuare correttamente tutti e solo i membri della categoria triangolo, dal momento che tutti i triangoli hanno queste proprietà e nessun oggetto con queste proprietà può essere una cosa diversa da un triangolo. Sfortunatamente, le categorie analitiche come le figure geometriche costituiscono un'eccezione, mentre nella stragrande maggioranza dei casi è praticamente impossibile specificare insiemi di proprietà necessarie e sufficienti. «Essere vivente», ad esempio, potrebbe sembrare un caratteristica necessaria per la categoria CANE. Se così fosse, però, non diremmo mai che Snoopy è un cane, come in realtà facciamo. Ma allora, che informazioni sono contenute nelle nostre rappresentazioni mentali? Secondo un'ipotesi storicamente molto importante, una categoria è rappresentata mentalmente attraverso un prototipo, cioè contiene informazioni che sono vere degli esemplari tipici della categoria, senza essere necessariamente vere di tutti gli esemplari. Maggiori caratteristiche un esemplare condivide con il prototipo, più è tipico della categoria. Ad esempio, il prototipo di un cane è un essere animato, con quattro zampe, alto circa 50 cm, che abbaia, ha il pelo e la coda, ecc. Questa caratterizzazione corrisponde quasi perfettamente a quella di un pastore tedesco e assai meno a quella di un mastino napoletano, che perciò è un esemplare di cane meno tipico del pastore tedesco. Nonostante la teoria dei prototipi colga molti aspetti importanti della categorizzazione, fa alcune previsioni che si sono rivelate sbagliate. Una teoria alternativa, che non incorre nei problemi della teoria dei prototipi, assume che le persone usano teorie inge nue per determinare quali sono le dimensioni importanti al fine di stabilire l'appartenenza di un oggetto a una categoria, e le rappresentazioni degli oggetti della categoria tengono conto di queste dimensioni. Probabilmente, la prima formulazione di rappresentazione basata su una teoria è quella di G. Miller e Ph. Johnson-Laird (1976), i quali proposero che le informazioni che sono contenute nella rappresentazione mentale di una categoria dipendono dalla teoria ingenua e non necessariamente corretta, che organizza il dominio a cui appartiene la rappresentazione. La teoria ingenua di cosa sia un sedile, ad esempio, considera importanti, oltre al fatto che un sedile deve avere un piano per sedersi, caratteristiche come l'avere o meno uno schienale, dei braccioli, l'essere o meno imbottito, essere fatto per una o pili persone, ecc. Sulla base di queste dimensioni, nel domino dei sedili, una sedia tipica è rappresentata come un sedile per una persona, con quattro gambe e uno schienale, ma senza braccioli, mentre un divano è caratterizzato come un sedile per più persone, con lo schienale, imbottito, coi braccioli.

Una peculiarità della teoria di Miller e Johnson-Laird è che, oltre a fare ipotesi sul contenuto delle rappresentazioni, propone anche un modo per organizzare le diverse rappresentazioni nei diversi domini, cioè specifica in che modo le rappresentazioni sono in relazione fra loro: nel campo semantico dei sedili le informazioni relative alle sedie sono organizzate insieme a quelle relative alle poltrone, ai divani, agli sgabelli, ecc., mentre nel dominio dei cani sono specificate le caratteristiche dei pastori tedeschi, dei pechinesi, dei cocker, dei mastini, ecc. Si tratta di un aspetto importantissimo del modo in cui vengono rappresentate mentalmente le conoscenze, poiché ciò che è presente in una rappresentazione dipende anche da ciò che è presente in altre rappresentazioni del dominio. Ad esempio, «animato» è una caratteristica di tutti gli animali. Perciò questa informazione può essere codificata nella rappresentazione di animale, senza dover essere ripetuta nelle rappresentazioni di CANE, LEONE, TIGRE, PESCE, ecc., a patto che queste rappresentazioni siano organizzate in modo tale che la proprietà posseduta da animale possa essere ereditata dagli altri concetti.

Secondo un'ipotesi influente (Rosch et al., 1976), l'organizzazione delle rappresentazioni concettuali avviene in tre livelli. Il livello di base (ad es. cane) è quello più comunemente usato dalle persone nella comunicazione, perché permette di denotare con buona precisione un numero abbastanza ampio di oggetti del mondo. Il concetto sovraordinato (ad es. animale) è più astratto e dunque si applica a più oggetti (ad es. cani e gatti), ma dà meno informazioni rispetto al concetto di base, mentre il concetto subordinato (ad es. pechinese) contiene più informazioni rispetto al concetto di base, ma si applica solo a pochi oggetti (ci sono meno pechinesi che cani).

Attualmente, sulla scia di una lunga e ininterrotta tradizione, una metafora molto usata per l'organizzazione mentale dei concetti è quella della rete, in cui i nodi contengono informazioni e gli archi connettono i nodi e ne specificano le relazioni. Ad esempio, il nodo animale è connesso al nodo cane tramite un arco che specifica la relazione di appartenenza categoriale (un cane «è un» animale). Le reti semantiche sono uno dei formalismi più usati. L'ausilio che offrono nella concettualizzazione delle complesse relazioni che esistono fra le varie informazioni a disposizione di un sistema intelligente è un ottimo esempio del fatto che la distinzione fra contenuto e forma delle rappresentazioni mentali, introdotta per ragioni di chiarezza espositiva, non coglie un fatto importante: le ipotesi sul contenuto non sono indipendenti dalle ipotesi sulla forma di una rappresentazione, e viceversa. La possibilità di usare un'informazione per un dato compito dipende in modo cruciale dalla forma in cui è espressa l'informazione. La rappresentazione numerica e quella linguistica dei numeri, ad esempio, non sono affatto equivalenti, e se vogliamo mettere in colonna i numeri per fare una somma è indispensabile usare la rappresentazione numerica. Poiché la forma di una rappresentazione è rilevante nel determinare quale compito il sistema cognitivo trovi facile o difficile, i ricercatori hanno studiato e sviluppato diverse ipotesi rappresentazionali, proponendo alcune dicotomie importanti. Una di queste è la classica distinzione fra rappresentazioni analitiche, o proposizionali, e analogiche. Nelle rappresentazioni analitiche la relazione fra rappresentazione e cosa rappresentata è arbitraria (ad es. la parola Rex e il cane Rex), mentre le rappresentazioni analogiche tipicamente assomigliano a ciò che rappresentano (ad es. una cartina geografica dell'Italia). Ma, per quanto importante, la somiglianza non è una caratteristica indispensabile delle rappresentazioni analogiche. Talora la loro natura dipende dal fatto che rappresentano in modo continuo le variazioni che si verificano nel mondo che rappresentano. Pur non somigliando alla temperatura, la colonnina del mercurio ne è una rappresentazione analogica, poiché variazioni continue della temperatura vengono rappresentate attraverso corrispondenti variazioni del volume del mercurio. Questa relazione non esiste, invece, con le rappresentazioni analitiche, che variano in maniera discontinua al variare continuo di ciò che rappresentano: non c'è nessuna relazione necessaria fra l'innalzamento della temperatura di un grado e la rappresentazione di questa variazione attraverso due numeri successivi o due parole (ad es. 37 e 38 oppure trentasette e trentotto). Generalmente, gli psicologi ipotizzano che spazi, mappe, volti, ecc. siano mentalmente rappresentati anche, se non solo, in forma analogica, come immagini, e che le rappresentazioni analitiche siano tipicamente usate per oggetti mentali come i significati delle parole e i numeri. Un'altra dicotomia importante è quella fra rappresentazioni dichiarative e procedurali. Secondo la prima modalità, la conoscenza è soprattutto un «sapere che», e il formalismo più adatto per rappresentarla è basato sul calcolo dei predicati. Per la modalità procedurale, invece, conoscere è lo stesso che fare o saper fare. La conoscenza di una circonferenza può essere espressa in maniera dichiarativa, attraverso la sua definizione geometrica, oppure proceduralmente, descrivendo come si traccia la circonferenza col compasso.

Le forme discusse fin qui non permettono di rappresentare conoscenze relative a situazioni complesse, che richiedono la combinazione di diversi tipi di informazione. Per questo tipo di conoscenze, i ricercatori hanno sviluppato formalismi particolari, come i frames, gli schemi e gli scripts. Uno script, ad esempio, organizza le conoscenze relative a eventi, come andare al ristorante, e contiene informazioni sulle persone e gli oggetti tipicamente implicati in situazioni del genere (clienti, camerieri, cuochi), sulla concatenazione degli eventi che comunemente si verificano e sulle loro relazioni causali (i clienti arrivano, vengono fatti accomodare a un tavolo, ordinano da bere, leggono il menu, e così via, e alla fine pagano per il cibo e il servizio). L'importanza di queste strutture è che permettono di fare inferenze in situazioni in cui la semplice conoscenza dei singoli concetti non sarebbe sufficiente alla comprensione. La frase «Mario mangiò abbondantemente e poi lasciò il ristorante senza pagare il conto», ad esempio, non può essere correttamente interpretata come una descrizione di una violazione del comportamento appropriato senza la conoscenza di come funziona l'andare al ristorante.

Immagini mentali, proposizioni, script sono forme che permettono di rappresentare singoli «pezzi» di conoscenza. Ma le nostre conoscenze costituiscono un sistema organizzato e, come già accennato, il formalismo classico per rappresentare questo aspetto della conoscenza è quello delle cosiddette reti semantiche. Nodi e connessioni sono gli elementi costitutivi anche di reti sviluppate più di recente, ma mentre nei modelli tradizionali le rappresentazioni sono concepite come simboli sui quali vengono eseguite computazioni in base a regole, nei modelli connessionisti le unità coinvolte nelle diverse funzioni dovrebbero essere semplici e indifferenziate, più simili a neuroni che a oggetti simbolici. Inoltre, nelle reti connessioniste, i nodi sono riccamente interconnessi e i processi avvengono in modo fortemente parallelo e senza l'esplicita codifica di regole. Una semplice rete connessionista può essere descritta nel modo seguente. I nodi sono organizzati in strati: uno strato di input, uno strato di output e uno di unità nascoste. Ogni unità di input è connessa a ciascuna delle unità nascoste e ciascuna di queste è connessa a ciascuna unità di output. Le connessioni trasmettono attivazione o inibizione, in un modo che varia in funzione della forza del segnale di input, del «peso» della connessione e della sua polarità. Ciascuna unità somma gli effetti che le giungono dalle diverse connessioni e l'effetto globale del passaggio di attivazione da uno strato all'altro è un pattern le cui caratteristiche dipendono dalle modalità di connessione fra i due strati.

Ci sono due modi in cui le informazioni possono essere rappresentate nei modelli connessionisti: un modo localista e uno distribuito. Supponiamo di voler specificare la rappresentazione ortografica della parola cane. In una rappresentazione localista, la rappresentazione sarebbe l'unità della rete ortografica costituita della stringa di lettere C A N E. In una rappresentazione distribuita, invece, un'entità significativa come la parola cane non corrisponde ad alcuna unità nella rete, bensì a un pattern di attivazione di più unità (ad es. le lettere C, A, N, E), ciascuna delle quali è coinvolta anche nella rappresentazione dell'ortografia delle altre parole che la contengono (ad es. C in cece e voce, A in ago o fuga, ecc.). Quello che è unico è il pattern di attivazione che si determina fra le unità in corrispondenza di ciascuna parola. L'impiego di rappresentazioni distribuite, che agiscono in base a pattern di attivazione e a correlazioni di tipo statistico, è all'origine della proposta di considerare il connessionismo come un paradigma sottosimbolico, in alternativa al classico paradigma secondo cui mente umana e computer sono «sistemi fisici» governati da regole. Nelle reti connessioniste i nodi sono tendenzialmente simili ai neuroni, ma è evidente che nella maggior parte dei casi la somiglianza è assai remota. Nella rappresentazione distribuita dell'ortografia delle parole, ad esempio, le lettere non sono in nessun senso unità sottosimboliche simili ai neuroni. Ma allora, come è rappresentata l'informazione nel cervello? Per cominciare a trovare qualche risposta a questo quesito è necessario tener presenti tanto le caratteristiche del cervello quanto le caratteristiche del compito che deve essere eseguito. Il cervello consiste di un numero altissimo di neuroni con pochi stati interni (attivo e non attivo) e con un ancora più alto numero di connessioni fra neuroni. I messaggi trasmessi da un neurone attraverso una singola connessione consistono di una «semplice» sequenza di impulsi elettrici, ma i neuroni funzionano in parallelo inviando simultaneamente informazioni, il che conferisce potere computazionale al sistema. La maggior parte di ciò che sappiamo sulle rappresentazioni nel cervello riguarda la visione, cioè il modo in cui la corteccia cerebrale giunge a costruire rappresentazioni di oggetti e scene a partire dai segnali che arrivano ai recettori sensoriali. I processi iniziali della percezione visiva hanno luogo nella retina dell'occhio. Qui ciascun neurone risponde solo a caratteristiche specifiche dello stimolo, ad esempio piccoli punti luminosi. Molti recettori inviano attivazione a un singolo neurone sensoriale nel sistema nervoso centrale, il che fa sì che i neuroni sensoriali rispondano a stimoli che provengono da una regione più ampia del campo visivo e siano maggiormente specializzati. I neuroni sensoriali, a loro volta, convergono su neuroni di livello più alto, le cui risposte riguardano un campo visivo sempre più ampio e sono innescate da stimoli sempre più specifici. In generale, il comportamento di ciascun neurone dipende dai pattern di connessione con i neuroni di livello inferiore, e dagli input che gli giungono dai neuroni dello stesso livello, in un sistema che è organizzato secondo uno schema gerarchico.

Una delle caratteristiche principali dei neuroni di diverso livello è che attraverso un meccanismo che è sensibile alla convergenza dei segnali di livello più basso diventano sensibili a proprietà sempre più specifiche allo stimolo: mentre i recettori sensoriali possono rispondere a punti di luce, neuroni in aree più alte rispondono, ad esempio, a linee e spigoli, e in aree ancora più alte a forma e colore. Infine, le cellule al livello più alto sono selettive per pattern complessi e di particolare valore etologico. E’ a questo livello della corteccia visiva che si può assumere che venga risolto il problema di base del riconoscimento, dal momento che le cellule a questo livello rispondono a classi di Oggetti, ma generalizzano rispetto a molti cambiamenti degli stimoli e possono modificare le proprie risposte in base all'esperienza.

PATRIZIA TABOSSI

Rappresentazione(2)

Il patrimonio concettuale della psicoanalisi si esprime in uno spazio terminologico individuato da tre assi, uno relativo a neologismi e gli altri due a termini importati dal lessico neurologico e/o filosofico, ma destinati a radicale trasformazione semantica per mano di S. Freud. Esempio per antonomasia di trasformazione in un termine situato all'incrocio fra retaggio filosofico e neurologico,

«rappresentazione» denota un concetto psicoanalitico di rango teorico tra i più elevati, che taglia trasversalmente i diversi sottodomini metapsicologici (economico, dinamico, topico e strutturale), sopravvive immutato a ogni revisione della teoria ed è efficacemente incarnato nella prassi della cura, se è vero che essa consiste nel fornire al paziente accesso cosciente ad adeguate rappresentazioni scandite dal timer affettivo transferale.

Impossibile qui ricostruirne la storia filosofica prefreudiana, se non per brevissimi cenn i alla sua nascita come problema psicosomatico concernente il rapporto soggetto/oggetto, intravisto in tutta la sua immane portata dalla filosofia greca: se la percezione è testimone attendibile ed esclusivo della realtà, come giustificare illusioni, allucinazioni e sogni ? D'altro canto, se non lo è, come e quando conferire valore oggettivo ai percetti? Come dare conto dell'intenzionalità psichica? Se non bastasse, come può convivere l'astratta universalità dei concetti con l'idiosincratica e concreta particolarità di disgiunte percezioni ? Non si vede come i primi possano essere costruiti a partire dall'assemblaggio delle seconde, mentre negare questa costruzione significherebbe alienare dalla realtà gli stessi concetti e rinunciare in un colpo solo a oggettività e intenzionalità. A partire dai presocratici, divenne gradualmente chiaro che la risposta a queste (e altre) domande presuppone, fra gli estremi percettivo e noetico, un tertium datur condiviso da psiche e soma, vincolato da un lato alla fisica di corpo e mondo, dall'altro alla metafisica dell'intelletto. Furono in particolare Aristotele e gli stoici a denominare phantasia quel tertium, e ad ascriverle tra le altre proprietà quella di evocare alla memoria percezioni in assenza d'oggetto, facendone vicario psichico di ciò che appartiene a mondo esterno e interno, ciò su cui l'intelletto esercita le proprie facoltà e di cui, in certo modo, esso stesso in larga parte consiste. Phantasia, phantasma, phantaston, phantastikon (derivazioni da phainestai: apparire) sono tutti, inutile dirlo, precursori di «rappresentazione» convocati a garanzia di credibile intermediazione fra aistheta (ciò che si percepisce) e noemata (ciò che si pensa). Da questa nascita fantastica si diparte una lunga e complessa storia, che trova il suo snodo cruciale nella manovra cartesiana di rescissione gordiana fra psiche e soma, con conseguente collasso della rappresentazione sulla coscienza. Toccherà a Freud riannodare quei fili psicosomatici assegnando alla rappresentazione cosciente territorio più che esiguo, se paragonato a quello amplissimo della rappresentazione inconscia, e conferendo uno spessore nuovo e insospettabile all'antica terminologia greca. Vediamo come.

La prima occorrenza rilevante del concetto di rappresentazione nel pensiero freudiano deve alla tradizione neurologica più di quanto debba a quella filosofica, ed è reperibile in un lavoro di afasiologia (Freud, 1891) la cui importanza nella genesi della psicoanalisi è stata a lungo sottostimata. Esattamente trent'anni prima di quel contributo freudiano, nel 1861, P. Broca aveva stilato il reperto autoptico dei cervelli di Leborgne e Lelong (due pazienti affetti da afasia motoria ricoverati all'ospedale di Bicêtre), scoprendo che l'emissione verbale ha referenti cerebrali di tipo modulare, mentre circa sei anni prima C. Wernicke e L. Lichtheim avevano esteso nosografia dei disturbi af asiologici e tassonomia dei correlati loci cerebrali mediante diagrammi destinati in futuro a crescenti apposizioni di epicicli. Il fervore della ricerca afasiologica, in quel periodo, era alimentato dall'aspra contrapposizione fra tesi localizzazioniste (secondo cui ogni funzione psichica abita un ben definito locus cerebrale) e antilocalizzazioniste (secondo cui invece il cervello è struttura olistica), le prime estremizzate a volte fino a sostenere che ciascuna idea (rappresentazione) risiede in un singolo neurone, le seconde ambiguamente connesse sia a concezioni dinamiche d'avanguardia che a un dogma teologico riluttante a cedere alla scienza il copyright dell'anima. Sulla scorta di un'amplissima rassegna della letteratura esistente, Freud interviene criticamente nel dibattito con puntuali controesempi al localizzazionismo estremo, invoca le evidenze logica e anatomica per sostenere che la superficie del corpo non è proiettata punto per punto nel cervello ma li trova una sua non biunivoca rappresentazione, e aderisce infine a una concezione dinamica compatibile con un localizzazionismo ben temperato, a patto di intendere i loci cerebrali non come centri residenziali di funzioni psichiche, ma solo come addensamenti privilegiati di specifiche vie associative. Ciò che più conta, per lo psicoanalista, è però l'affiorare, a chiusura del serrato discorso freudiano contro l'assegnazione esclusiva della parola (e persino del linguaggio) all'insula dell'emisfero cerebrale sinistro, della demarcazione fra rappresentazione di parola e rappresentazione di cosa che terrà banco nei lavori di meta-psicologia del 1915, con acme nel settimo capitolo dell’Inconscio (Freud, 1915a). A partire dall'epilogo afasiologico, che non è ancora metapsicologia ma non è più neurologia, i precursori topici, dinamici ed economici di quella futura demarcazione avranno il loro baricentro nel 1895 e nel 1899 sotto forma di ascrizione della rappresentazione in massima parte all'inconscio, elaborazione di una teoria del conflitto fra rappresentazioni con esito deciso sul fronte di investimento, controinvestimento e iperinve-stimento, e infine formulazione dei principi regolatori del bilancio psichico (inerzia, piacere e costanza), che delle rappresentazioni governano accesso alla coscienza o rimozione (Freud, 1892-95; 1895; 1899a). Caposaldo teorico di quegli anni era la teoria della seduzione, che assegna ruolo eziologico a un trauma sessuale infantile la cui rappresentazione è bandita dalla coscienza mediante interdizione associativa, con conseguente isolamento della concomitante affettiva che ora, inefficacemente, reclama abreazione attraverso sintomatiche formazioni sostitutive (della rappresentazione rimossa). Controparte economica di questa concezione dinamica è la distinzione fra energia (psichica) libera e legata, attive rispettivamente nel processo primario e secondario ed entrambe quanta affettivi, l'una tendente però a scarica totale, perentoria e immediata, l'altra inibita da vincolo a (in)adeguata rappresentazione. L'impianto teorico dell'epoca risultava così già inclusivo di una legge desunta dalla clinica di isteria e ossessione e mai più revocata in seguito, quella secondo cui rappresentazione e affetto sono suscettibili di una divergenza che risulta condizione necessaria della patologia. La teoria della seduzione, indebitata con il modello reflessologico e nettamente sbilanciata in direzione ambientalista, fu abbandonata da Freud man mano che andavano accumulandosi controesempi tratti da autoanalisi e clinica e attestanti, nel turnover dell'ontogenesi psichica, la supremazia della fantasia sulla realtà, dove il ritorno terminologico dell'ancestrale greco di rappresentazione si fa portavoce di rinnovata, felice polisemia. Documento di quella conseguita supremazia è L'interpretazione dei sogni, che della rappresentazione fornisce ora un modello a trascrizioni mnestiche multiple, distribuite in gradienti seriali organizzati sulla falsariga dei fuochi virtuali di un apparato ottico: nel loro percorso dall'estremo percettivo a quello motorio, le componenti della rappresentazione vengono disaggregate e riassemblate secondo modalità metonimiche e metaforiche ottemperanti ai meccanismi di condensazione e spostamento attivi nel processo primario, sicché la rappresentazione risultante che riesca eventualmente a superare la dogana censoria e a stimolare l'organo dei qualia (la coscienza) sta ai suoi antecedenti inconsci come il ricordo di copertura sta a quello reale. Del resto, che la rappresentazione non sia ingenuo fotogramma della realtà e non ne costituisca stampo inerte e passivo, è dimostrato dalla sua nascita integralmente asservita dal principio di piacere a effimero controllo dell'angoscia e caduca dilazione di scarica, ottenuti mediante una reviviscenza allucinatoria dello scenario di soddisfacimento che è anteprima dei futuri scenari onirici. All'origine del riconoscimento di realtà, perciò, c'è la sua negazione allucinatoria, che resta però operativa a variabili posologie anche a riconoscimento avvenuto. E infatti, la successiva, graduale instaurazione del principio di realtà, se da un lato apre la strada che dall'identità di percezione conduce a identità di pensiero e a distinzione fra ricordo e percezione, dall'altro non riuscirà mai a sottrarre del tutto la rappresentazione a quel complesso gioco di forze che, sotto il profilo dinamico, ne fa sempre e comunque rappresentazione finalizzata da (e di) determinanti inconsce (Freud, 1895; 191 xa). Pochi anni dopo il fausto ritorno del termine phantasia, l'adozione freudiana del termine «pulsione» (coniato nel 1780 dall'antropologo di Gottinga J. Blumembach come traduzione tedesca del latino nisusformatìvus) inaugura una progressione teorica che troverà il suo culmine nei lavori di metapsicologia del 1915 (a; b; d; g). Qui la pregressa, circostanziata scoperta secondo cui il sogno tratta, a volte, le parole come cose viene generalizzata in enunciati legiformi concernenti il funzionamento psichico normale e patologico, sulla scorta di una puntuale definizione quantitativa del concetto di pulsione (misura del lavoro richiesto alla psiche in virtù del suo legame con il corpo) e dei suoi due derivati, rappresentazione e affetto (entrambi investimento, l'uno mnestico e l'altro somatico). A tal punto efficace è il follow-up teorico dell'avvenuta demarcazione fra rappresentazione di parola e di cosa, che esse possono ora prestarsi a defìniens degli stessi topoi cui sono rispettivamente ascritte, e a precisare un diagramma di flusso della presa di coscienza già intravisto nelle sue linee essenziali nel Progetto: l'inconscio è costituito esclusivamente da rappresentazioni di cosa, mentre compito del preconscio è connetterle a correlate rappresentazioni di parola, consentendo al risultante insieme cosa/parola eventuale accesso alla coscienza mediante informazione dell'avvenuta scarica di neuroni verbali motori. Il dispositivo teorico così allestito dà conto tanto di aspetti di diagnostica differenziale che di aspetti attinenti allo scopo della prassi interpretativa, senza contare gli aspetti che concernono la normale ontogenesi psichica. Se le nevrosi di transfert erano già state intese come frutto del divorzio fra rappresentazione e affetto, ora il cerchio può stringersi attorno alle due componenti della rappresentazione, l'investimento di cosa essendo mantenuto a scapito di quello di parola nelle nevrosi di transfert, viceversa nelle nevrosi narcisistiche (all'epoca ancora ritenute inidonee all'analisi, a torto e a dispetto dell'acquisita comprensione di difese attive nella deformazione schizofrenica del linguaggio), nelle quali il mantenimento a oltranza dell'investimento verbale si configura come strategia autoterapeutica allestita a salvaguardia del poco che resta del deperito legame oggettuale. Più che mai chiaro lo scopo dell'interpretazione: dare parola a ciò che non ne ha.

L'ipotesi secondo cui la psiche è esclusivamente costituita da quantità di energia in moto eventualmente trasformata in qualità dall'organo di coscienza (altrimenti detto: l'ipotesi secondo cui la pulsione è integralmente impersonale (Es), a esclusione di un angusto dominio psichico contrassegnato da assunzione egoica e soggettiva dei derivati pulsionali) fa parte degli assunti di base della metapsicologia. Non deve meravigliare dunque il fatto che, nei lavori di metapsicologia del 1915, al classico termine Vorstellung (rappresentazione) diano qua e là cambio i termini Triebrepräsentant e Triebrepräsentanz, rispettivamente «rappresentante» e «rappresentanza pulsionale», ogni volta che il contesto mira a enfasi, appunto, degli aspetti psichici quantitativi e a porre in risalto come in psicoanalisi la semantica della rappresentazione si discosti da quella canonica in filosofia. In tedesco Repräsentanz significa infatti delegazione, rappresentanza nel senso politico-diplomatico del termine, e rimanda perciò, da un lato, al fatto che, se è vero che la pulsione è ponte sul crinale degli opposti versanti psichico e somatico, è altrettanto vero che è il versante somatico a costituirne fonte e a conferirle spinta mediante processi di eccitamento (Reiz) in se stessi sottosemantici e sottopsichici; d'altro lato, rimanda al fatto che l'intensità della suddetta spinta è somatica, sì, ma è destinata tuttavia ad esito psichico sotto forma di importo d'affetto (Affektbetrag) al seguito della correlata Vorstellung (o di altra sostitutiva o isolatamente). Che delegati pulsionali reclamino udienza psichica come rappresentanti di processi di eccitamento somatico in cerca di scarica potrebbe essere interpretato, sotto il profilo filosofico, come inopinata riedizione di un dualismo che già appartenne agli esordi freudiani in variegate e altalenanti vesti, interazioniste (psiche e soma come entità distinte in reciproca connessione causale), epifenomenaliste (psiche come epifenomeno di processi cerebrali) e paralleliste (eventi psichici e cerebrali decorrenti in parallelo), ma si tratterebbe di interpretazione fallace: il monismo faticosamente conquistato da Freud nel 1895 non fu mai pili messo in discussione, e lo stesso concetto di Repräsentanz si fa portavoce, semmai, della necessità di ribadire, ancora una volta, natura e ancoraggio somatici di tutte le funzioni psichiche, fossero anche le piti altolocate (tra cui, sicuramente, la rappresentazione). Ne fa fede il manifesto introduttivo del punto di vista strutturale (Freud, 1922), dove si riafferma che la differenza cruciale fra rappresentazione inconscia e preconscia consiste nel fatto che quest'ultima si connette a residui verbali di natura mnestica, che furono cioè una volta percezioni, perché ciò che dall'interno preme per diventare cosciente deve prima cercare di trasformarsi in percezioni esterne. Messo così di nuovo fuori causa l'ingenuo primato della realtà esterna, viene ribadita la natura linguistica, e allo stesso tempo la genesi proiettiva, della rappresentazione cosciente, mentre il localizzazionismo ben temperato del 1891 e il monismo del 1895 trovano riedizione nella tesi secondo cui l'Io porta un «berretto uditivo» situato nell'emisfero di sinistra, la cui importanza per la costruzione delle strutture psichiche (in particolare del Super-io) dà in parte conto dei poteri di penetrazione della parola interpretante dell'analista, all'interno della relazione transferale, e della conseguente timbrica di riferimento che così spesso contrassegna, nel paziente, la ricezione delle rappresentazioni evocate da quella parola. Si è visto all'inizio come il concetto di rappresentazione sia nato in terra greca sotto forma di phantasia interpolata nella dialettica soggetto/oggetto e come esso sia stato poi radicalmente mutato, dalla psicoanalisi, mediante decentramento della rappresentazione cosciente a favore di quella inconscia, accanto alla classica dialettica filosofica, andandosene così a costituire un'altra, fra realtà psichica e materiale, contrassegnata da una sottoclasse privilegiata di rappresentazioni, i «fantasmi originari» (Urphantasien). Scene di seduzione, di castrazione e di coito parentale ricorrono tanto frequentemente, in analisi, da candidarsi a pieno titolo, come arcaici attrattori associativi, al governo del flusso di rappresentazioni, sorta di kantiani schemi a priori attraverso cui viene filtrata e interpretata la percezione profonda dell'intreccio fra regimi intrapsichici e interpsichici di eccitamento/angoscia, senza che sia mai possibile assegnare in via definitiva all'uno o all'altro dei due regimi priorità ontologica ed eziologica. Nel merito di questa impossibilità, esemplare la persistente ambiguità di Freud, da un lato teso a pedinare ostinatamente, a dispetto dell'avvenuto abbandono della teoria della seduzione, i più minuziosi dettagli di un'infanzia ossessivamente inventariata alla ricerca di un indizio di realtà dell'evento (e addirittura pronto, in caso di insuccesso, a retrodatare alla filogenesi l'irreperibile trauma ontogenetico, non più dunque seduzione, castrazione e coito perpetrati dai genitori, ma dai progenitori dei genitori); d'altro lato, però, instancabile nel sostenere a spada tratta che la realtà psichica è munita di spessore ed evidenza almeno paritetici a (e indipendenti da) quelli della realtà materiale, e che perciò i suoi fantasmi, proprio perché fantasmi in carne e ossa, sono capaci di innescare, fomentare e orientare catene di effetti psichici non meno (de)strutturanti di quelle ordinariamente dovute all'impatto del mondo. L'irrisolta ambiguità freudiana, inizialmente ostacolo sulla via della coerenza teorica, si è poi trasformata in fattore di arricchimento per la metapsicologia e in particolare per la teoria della rappresentazione, dove al tertium datur fra due irriducibili realtà è stato reso infine lo statuto di complessità (e parziale indecidibilità) che gli compete.

FRANCESCO NAPOLITANO